La cucina che dà sul giardino è in penombra, il
cielo carico di pioggia rende tutto più tetro, triste. Seduta sul dondolo respiro l’odore di umido, salsedine e erba bagnata. Ha piovuto tutta
la notte, la terra profuma di buono.
Oggi Marcello ha portato i cuccioli dalla nonna e poi a mangiare
fuori, in casa c’era un silenzio claustrofobico, si sta meglio qua fuori, si respira aria
fresca, pulita.
Il caffè mi scalda la gola arrossata, ieri ho ricominciato a
fumare, ma si può essere più scemi? Dopo sette anni è un’idiozia ma mi vizio
pensando che è un momento e passerà.
La penna scorre veloce sul foglio, devo fare
delle pause e asciugarmi le guance per non bagnarlo, scrivo a Marcello per
l’ultima volta perché sono stanca di provare a spiegarmi ed essere interrotta
da urla e insulti. Anche stamattina.
Sono stanca.
"Se tu mi
avessi chiesto scusa almeno una volta per come ti sei comportato, per il dolore
che con indifferenza mi hai regalato, sarebbe stato diverso, molto diverso.
Se tu
avessi provato con dolcezza per una volta in quindici anni a capirmi, a metterti
nei miei panni.
Se tu mi
avessi lasciato parlare, e lo sai quanto mi viene difficile, di quello che
avevo nel cuore, se tu avessi amato il nostro amore e la storia che avevamo
costruito non saremmo arrivati dove siamo adesso.
Te ne sei
appena andato urlando e sbattendo la porta, come vedi non è cambiato niente.
Sempre le
stesse dinamiche, la stessa assoluta mancanza di empatia. Sono senza forze
impietrita da parole che non avrei voluto sentire mai. Ti odio per questo.
Mi
sarebbe piaciuto sedermi in cucina, come facciamo sempre quando dobbiamo
parlare, e aprirti il mio cuore, dirti cosa mi passa veramente per la testa,
confessarmi.
Dirti
che forse non era la scelta giusta lasciarci, che ci amavamo ancora abbastanza
per non rovinare una famiglia, che Simone non era niente, che nessuno mai sarà
quello che tu sei stato per me. Io ti amo ancora tanto, ma di un amore
rassegnato, che sa che non è abbastanza. Parli solo di soldi e non fai che
alimentare la mia rabbia.
Sono mortalmente stanca e rabbiosa.
La mia
rabbia è una mano a cui mi sono sempre aggrappata quando ho avuto paura di
cadere. Esplode dentro di me e io la lascio invadere ogni particella del mio
essere, la faccio gonfiare per cancellare il dolore.
Ha
sempre funzionato, è un motore fortissimo che ti fa reagire, che non ti
permette di deprimerti, che ti anestetizza come la migliore e sopraffina delle
droghe. Tutto il dolore, la tristezza e la voglia di accartocciarsi su se
stessi vengono spazzati via come da un tifone e il vento si diffonde e
distrugge. Una rabbia violenta, che viene dalla parte più sana di te stessa,
che ti libera. Un’energia potente quanto potente è la voglia di sopravvivere al
dolore.
Mi
sarebbe piaciuto davvero poter parlare così con te, ti avrei accarezzato la
mano, forse avrei pianto, lacrime di commozione parlando di noi e di tutto
quello che siamo stati.
Avrei
fatto qualche battuta, ti avrei preso in giro, un po’ per sdrammatizzare, forse
avresti sorriso.
Mi ha
lasciato qui da sola come sempre a guardare una porta sbattuta in faccia.
Se tu
fossi stato accogliente con me staremo ancora insieme.
Se tu non
avessi fatto entrare gente stupida e invidiosa tra noi, se fossi stato più uomo
e meno bambino,
Se…..
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