sabato 29 settembre 2012

Pensieri notturni



Il treno corre svelto verso Bologna, è notte, la cabina è stretta, i lettini sembrano dei loculi. Ho freddo l'aria condizionata è al massimo.
 I bimbi dormono tranquillamente cullati dal treno che li porterà a casa, tra due giorni inizia la scuola. Avrò più tempo per me, per fare nuovi progetti. 
Inizia una nuova vita, una vita che mi terrorizza e mi affascina al tempo stesso. Marcello mi ha tolto tutti i soldi che ogni mese mi versava per la gestione dei figli e della casa. Non l’avrebbe potuto fare, ma col bene placido del suo astuto consigliere, l’ha fatto!
Sarò un indigente, un indigente con due figli, anche a questo ci dovremmo abituare, sarà dura ma in qualche modo si farà.
Sarò sola.
Non sono da sola da così tanto tempo che non ne ricordo la sensazione.
Dovrò cercare lavoro, quasi sicuramente mi dovrò spostare dalla mia comoda casa di Bologna, i miei figli non avranno più una famiglia convenzionale  e neanche i privilegi che il lavoro di mio marito ci concedeva.
Sarà dura, ma io sono più dura. Ce la faccio.
 Non si può continuare un rapporto per paura o per comodo, so che è una realtà diffusa. Non posso farlo, lo devo a me stessa.
Le lenzuola dei treni sembrano confezionate con la carta, sono scomoda e non ho sonno. 
Soffro d’insonnia cronica e non ho portato le pillole di valeriana.
Non dormo mai in treno quando i bambini sono con me, faccio la guardia come una leonessa con i cuccioli, un’ancestrale bisogno di proteggerli da una inusuale situazione, mi costringe alla veglia.
Il bip dei messaggi sul cellulare mi distoglie dai miei deliranti pensieri notturni, è Maurizio che mi conferma l’appuntamento per dopodomani al suo studio.
Mi chiede se sono convinta? Se voglio seriamente arrivare fino in fondo.
 Sì, voglio arrivare fino in fondo.
Ci sono donne che per pigrizia, chi per convenienza, per paura, trascinano  rapporti ormai logori fino alla fine dei loro giorni, per poi svegliarsi vecchie e infelici accanto ad uno sconosciuto che detesti e che fa le puzze a letto e ha la dentiera sul comodino! Le puzze e la dentiera  le sopporti solo se portatore sano di tanto amore.
Vorrei banalmente amare il mio compagno fino alla fine, vorrei che il suo viso fosse l’ultima cosa che vedo in questa vita, vorrei che mi stringesse la mano ogni notte prima di addormentarsi, con semplicità, non vorrei averi dubbi mai.
Adorarlo tanto da non vedere il suo viso e il suo corpo invecchiare, amarlo e guardarlo con quell’affetto infinito che trovo negli occhi di alcuni vecchietti che camminano mano nella mano al parco, che si guardano compiaciuti per quello che hanno.
 Non sarà Marcello il mio vecchietto, ne sono consapevole.
 Sarò un’inguaribile ottimista ma a meno che non si sia molto malati o cadavere si ha sempre la possibilità di riprendere in mano la propria vita e cambiare. 
Io voglio essere felice. Non tutti i giorni, ma saltuariamente voglio impazzire di felicità.
 Sarà un percorso complicato, dove i cocci delle esperienze passate mi potrebbero fare inciampare, ma mi rialzerò, forse con qualche ferita in più e andrò avanti.
Quanti anni posso vivere ancora? Se tutto va bene sono a metà della mia vita, non ne voglio sprecare un giorno in attesa del niente, me la prendo e vado per la mia strada.
Non dovevo bere quella birra alla stazione prima di salire sul treno, sto andando a ruota libera con i pensieri.
I pensieri notturni hanno un che di magico, l’oscurità, il silenzio li rendono speciali, alcuni pensieri arrivano come folgorazioni solo di notte.
Amo l’insonnia.
Ti regala un tempo rubato alla vita di ogni giorno, un tempo scandito da silenzi solo tuoi, di libri che non avresti il tempo di leggere, di serate d’inverno affacciata alla finestra a godere di una città che dorme.
Non dovevo bere la birra, proprio non dovevo.

giovedì 27 settembre 2012

L'ultima cena



Da due giorni la lettere del perfido avvocato di Marcello giace ancora sigillata sulla scrivania in salone.
Non ho il coraggio d’aprirla, sono una vigliacca, so che leggere quelle parole scritte da un estraneo decreteranno ufficialmente la fine del mio matrimonio, è la richiesta ufficiale di separazione.
Non sono pronta adesso, la leggerò a Bologna, quando i bambini saranno a scuola, quando sarò nella mia tana, da sola.
Marcello minaccia una separazione giudiziale, è ferito, non sopporta che io non lo ami più. Lo capisco, è un uomo, (quindi già per natura cerebralmente ipodotato) e in più è un uomo che ha paura di restare solo, di dovere ricominciare, terrorizzato che il suo mondo precostituito ed ignorato venga distrutto. So che si vede povero, in un mini appartamento intento a cucinare, lavare, stirare e pulire. Il panico non lo farà respirare.
Mi dispiace, immensamente. Mi dispiace di non essere più felice con lui, di non amarlo più, vorrei fosse diverso ma non lo è.
Ho tolto la fede dal mio anulare, un simbolico gesto di distacco che era necessario. L’ho conservata con tenerezza, con rispetto.
Mi guardo la mano continuamente, è libera, anche se l’anulare si è affusolato  nel punto dove la portavo e un piccolo cerchietto bianco me ne ricorda l’assenza. Tra un paio di mesi, sparita l’abbronzatura forse anche io non ci farò più caso.
 La mia adorata villetta sul mare nella ridente frazione di Messina, Torre Faro, domani verrà chiusa fino a Natale.
Quanto amo questa casa, penso chiudendo gli ultimi scatoloni da spedire a Bologna. L’elegante eucalipto del giardino riempie il salone della sua pungente fragranza,  mi manca quest’odore quando non vivo qua.
Cagnetta, la mia vecchiotta  bastardina color miele, è triste, sa che stiamo per partire, che Claudio e Alessandro  non la useranno più come tiro a bersaglio, sta accucciata in un angolo della stanza, immobile mi guarda dal basso verso l’alto con i suo dolci occhi marroni.
Il sole tramonta colorando il cielo di un caldo rosso dorato, mentre accarezzo il muso ormai bianco di Cagnetta.
Dal giardino sento le voci allegre dei miei figli e del gineceo con cui sono imparentata, come farò ad affrontare tutto da sola? A volte mi chiedo perché non ritorno stabilmente a vivere nella mia città, me lo chiedo ogni volta che faccio le valige per tornare a Bologna.
“Paola serve altro vino, tua madre beve come una spugna!” urla Giada ridendo.
La piccola Azzurra arriva incerta sulle sue paffute gambette, mi guarda sgranando i grandi occhi che tutte abbiamo ereditato da mio padre e mi prende la mano per portarmi fuori.
Era stato invitato anche Marcello ma il suo diabolico avvocato avrà pensato che dividere il desco con quella che fino a ieri era la sua famiglia fosse riprovevole e pericoloso.
“Allora questo vino? Qui la matrona ha sete!”
Lucilla ha incastrato Silvana in una di quelle odiose discussioni che solo le madri riescono a fare. Discussioni provocatorie-indagative, quelle in cui Lucilla eccelle.
“Allora come va con Pietro?” chiede infastidita a una Silvana quasi brilla, stravolta dalla stanchezza semisvenuta sul dondolo, mentre i suoi nipoti attentano alla sua messa in piega con luride manine.
“Ahi!” diciamo in coro io e Giada ridendo. “Io fossi in te mi nasconderei dietro un astuto “no comment”.
“Bene mamma, bene, ci si parla poco per ora, sai la bambina mi impegna molto, ma è tutto a posto” dice scostando una ciocca di capelli biondi freschi di parrucchiere.
“Sai dopo la nascita di un bambino è normale che….” Inizia mamma lanciatissima in un noiosissimo discorso da saputella.
“Ah no mamma, ti prego!” dice Giada interrompendola.
“Non provare a fare la madre amorevole, non ti riesce proprio, piuttosto ho fame porti in tavola la frittata che hai preparato?” Giada è così, sarcastica. Vivendo insieme a Lucilla è quella che emotivamente patisce di più la sua influenza nefasta, è così magra che le si vedono le ossa e da un paio di mesi veste sempre di nero.
Tutte e tre guardiamo nostra madre scuotendo la testa sorridendo, nell’affettuoso tentativo di farle capire che un genere di approccio madre-figlia classico, affettivo e accogliente non ci convince, non ce la fa, non ci siamo neanche abituate, ci imbarazzerebbe.
Un leggero vento di scirocco scompiglia i capelli di Lucilla mentre ancora col broncio porta in tavola i piatti che ha preparato per noi. Lo fa per abitudine di viziarci con piatti sublimi e ipercalorici nel tentativo di compensare col cibo quell’affetto che per sua natura non riesce a donare. Li ha cucinati per me, è triste, non vorrebbe vedermi partire.
“Ti sei tolta la fede?” mi sussurra Silvana in un orecchio,.
Annuisco. La mia dolce sorella capisce bene i miei stati d’animo e come se i nostri pensieri fossero collegati da profonda empatia.
Con la tavola stracolma di delizie tipicamente siciliane, Giada alza il bicchiere per un brindisi.
"A quella scema di Paola che ci abbandona ancora una volta, a questa ultima cena insieme! Ricordati sorellona "Morto un papa se ne fa un altro!".





martedì 25 settembre 2012

Crisi estrogeniche-familiari



Ma tu sei pazza! Tu non mi vuoi bene...” urla al telefono mia sorella Silvana.
“Perché non mi hai chiamato? Non mi sarei persa la scena di nostra madre senza parole nemmeno per tutto l’oro del mondo, mi hai ingiustamente privato di questo delizioso spettacolo, di un attimo di pura gioia, non si fa Paola, non si fa! Dai, almeno raccontami i dettagli, avrei pagato per esserci, per vedere la sua faccia!. Uffa, la mia vita è noiosissima in confronto alle vostre.”

“Si Silvana è vero non sai quanto è eccitante la mia vita in attesa di divorzio con un marito che mi odia e che mi vorrebbe vedere chiedere la carità sotto un ponte, mi sto proprio divertendo, facciamo a cambio?" Rispondo acida a mia sorella.

“Scusami Paoletta, sono una carogna” dice sottomessa e pentita Silvana.

Piccolo sfogo settimanale di mia sorella Silvana alle prese con la recente maternità, i chili di troppo e la quasi totale mancanza di sesso e di sonno. Ancora non si è abituata allo sconquasso che sua figlia, Azzurra, ha portato  nella sua vita. Una dolce e bionda bambina di un anno che sotto i riccioli nasconde un’espressione da cinquantenne che ha capito tutto della vita e la potenza distruttiva di una bomba atomica.

“ Hai ragione, non te ne dovevo privare, mea culpa, però per rimediare possiamo chiedere a Giada di invitarci al prossimo spettacolino porno, che dici? Ti piacerebbe?"

“ Sì dai, io porto i pop corn e tu le bibite"

"Almeno mi ricorderei quello che non faccio più da un tempo infinito. Mi sembrano anni che non faccio sesso! Voglio fare sesso! Non che io ne abbia la forza, ma mi sacrificherei per la patria se si presentasse l’occasione, giusto per calmare i nervi, a scopo terapeutico, ma a quanto pare il mio vigoroso marito non accenna neanche la più piccola avance sentimentale-sessuale, niente, nada de nada.”

“Ma non puoi fare la prima mossa tu?” suggerisco timidamente.

“Io???" urla Silvana come se qualcuno le avesse pestato un piede. “Paola, tu ti ricordi quando hai partorito Claudio, vero? Ti ricordi che non sei una ex velina e che dopo il parto ti rimangono circa nove chili da smaltire e che il tuo ego insieme al tuo sex appeal sono sepolti da strati di lardo? Ti ricordi che il frugoletto tra poppate, pannolini da cambiare, coliche, e notti insonni( per puro sadismo), ti prende tutto il tempo a tua disposizione? Ti ricordi che la tuta extra large macchiata di  vomito di neonato è la tua divisa standard? Rammenti anche sicuramente che la tempesta ormonale e la assoluta mancanza di sonno ti rendono accogliente e conciliante come un orco col mal di denti! Sono stanca, mi sto abbrutendo,  non penso al sesso, ma ne avverto il bisogno.”

“Sì tesoro, mi ricordo tutto, ma non ti buttare giù, vedrai che migliorerà, ci vuole un po’ di tempo, e poi se proprio te la devo dire tutta ….sei pazza come un cavallo, io al posto di Pietro non ti scoperei, avrei paura, non ti parlerei neanche se tu non fossi la mia sorellina adorata”.

“Ecco vedi? Neanche tu …lo faresti….” dice lacrimosa mia sorella.

“A parte che la discussione sta diventando surreale, ti consiglio di chiamare nostra madre, di chiederle di badare ad Azzurra per un pomeriggio che ti servirà per farti una lunga doccia calda, una visita dal parrucchiere, buttare la tuta extralarge e farti un paio d’ore di sonno, che dici?”

“Forse sarebbe carino, ma mamma non si è mai offerta di badare ad Azzurra, io non glielo chiedo!” risponde piccata la mia complessata sorellina.

“Ok ci penso io, a dopo” dico mentre digito il numero di cellulare di mia madre.

“Mamma vai a casa di tua figlia e passa il pomeriggio con la tua nipotina senza fare storie, se non lo farai avrai a breve un altro divorzio da affrontare, quello di Silvana e Pietro, vai senza fare domande, capito??!!!”dico cercando di essere il più perentoria possibile.

“Non posso oggi pomeriggio ho un burraco a casa della mia amica Elena, peccato sarà per la prossima volta!?” risponde leggera la superficiale nonnina.

“Devi andare per forza, mamma, il burraco potrà aspettare.” insisto decisa a non mollare.

“Ma perché questa urgenza? Ha litigato con il marito? Ma cosa è un virus?” chiede scocciata.

“Ho detto niente domande, fidati di me, se vuoi evitare un altro divorzio va da Silvana!!”

“Ok, va bene vado, ma proprio tutto il pomeriggio con Azzurra? Lei è tanto bellina ma è un diavolo scatenato… dice terrorizzata all’idea di passare cinque ore con la pestifera nipotina.

“Mamma!” intimo con voce ferma.

“Va  bene, certo che tu e le tue sorelle mi farete morire, prima tu, ora Silvana, per non parlare di Giada poi, ma che male ho fatto?? Ora la chiamo.” conclude Lucilla con un doppio sospiro.

Ho chiuso il telefono felice di avere fatto una buona azione, una di quelle che mi avrebbe fatto diventare una persona migliore, che avrebbe alleggerito il mio karma.
Il mio karma si è subito incupito verso mezzogiorno quando ho ricevuto una lettera dall’avvocato di mio marito.

lunedì 24 settembre 2012

La giornata dei se...



La cucina che dà sul giardino è in penombra, il cielo carico di pioggia rende tutto più tetro, triste. Seduta sul dondolo respiro l’odore di umido, salsedine e erba bagnata. Ha piovuto tutta la notte, la terra profuma di buono.
Oggi Marcello ha portato i cuccioli dalla nonna e poi a mangiare fuori, in casa c’era un silenzio claustrofobico, si sta meglio qua fuori, si respira aria fresca, pulita. 
Il caffè mi scalda la gola arrossata, ieri ho ricominciato a fumare, ma si può essere più scemi? Dopo sette anni è un’idiozia ma mi vizio pensando che è un momento e passerà.
La penna scorre veloce sul foglio, devo fare delle pause e asciugarmi le guance per non bagnarlo, scrivo a Marcello per l’ultima volta perché sono stanca di provare a spiegarmi ed essere interrotta da urla e insulti. Anche stamattina.
Sono stanca.
"Se tu mi avessi chiesto scusa almeno una volta per come ti sei comportato, per il dolore che con indifferenza mi hai regalato, sarebbe stato diverso, molto diverso.
Se tu avessi provato con dolcezza per una volta in quindici anni a capirmi, a metterti nei miei panni.
Se tu mi avessi lasciato parlare, e lo sai quanto mi viene difficile, di quello che avevo nel cuore, se tu avessi amato il nostro amore e la storia che avevamo costruito non saremmo arrivati dove siamo adesso.
Te ne sei appena andato urlando e sbattendo la porta, come vedi non è cambiato niente.
Sempre le stesse dinamiche, la stessa assoluta mancanza di empatia. Sono senza forze impietrita da parole che non avrei voluto sentire mai.  Ti odio per questo.
Mi sarebbe piaciuto sedermi in cucina, come facciamo sempre quando dobbiamo parlare, e aprirti il mio cuore, dirti cosa mi passa veramente per la testa, confessarmi.
Dirti che forse non era la scelta giusta lasciarci, che ci amavamo ancora abbastanza per non rovinare una famiglia, che Simone non era niente, che nessuno mai sarà quello che tu sei stato per me. Io ti amo ancora tanto, ma di un amore rassegnato, che sa che non è abbastanza. Parli solo di soldi e non fai che alimentare la mia rabbia.
Sono mortalmente stanca e rabbiosa.
La mia rabbia è una mano a cui mi sono sempre aggrappata quando ho avuto paura di cadere. Esplode dentro di me e io la lascio invadere ogni particella del mio essere, la faccio gonfiare per cancellare il dolore.
Ha sempre funzionato, è un motore fortissimo che ti fa reagire, che non ti permette di deprimerti, che ti anestetizza come la migliore e sopraffina delle droghe. Tutto il dolore, la tristezza e la voglia di accartocciarsi su se stessi vengono spazzati via come da un tifone e il vento si diffonde e distrugge. Una rabbia violenta, che viene dalla parte più sana di te stessa, che ti libera. Un’energia potente quanto potente è la voglia di sopravvivere al dolore.
Mi sarebbe piaciuto davvero poter parlare così con te, ti avrei accarezzato la mano, forse avrei pianto, lacrime di commozione parlando di noi e di tutto quello che siamo stati.
Avrei fatto qualche battuta, ti avrei preso in giro, un po’ per sdrammatizzare, forse avresti sorriso.
Mi ha lasciato qui da sola come sempre a guardare una porta sbattuta in faccia.
Se tu fossi stato accogliente con me staremo ancora insieme.
Se tu non avessi fatto entrare gente stupida e invidiosa tra noi, se fossi stato più uomo e meno bambino,
                                                       Se…..