mercoledì 3 febbraio 2016

Elettra, la matta...

Elettra
L’ufficio aveva le pareti colorate di grigio, la lucida scrivania era di un tono più scuro dei muri color topo, il cielo fuori dalla finestra era coperto da nuvole cariche di pioggia che incombevano su una Milano ancora mezza addormentata. L’orologio segnava le otto e quarantacinque.

"Dovremmo essere in estate!", pensò con disappunto Elettra, scrollando dai lunghi capelli chiari la pioggia raccolta dalla corsa in motorino.

Maria, la sciatta ma efficiente segretaria, portò sulla scrivania di Elettra un fascio di ventuno rose rosse a gambo lungo.

"Sempre lui?", chiese, non alzando lo sguardo dal pc.

"Sempre lui.", rispose la donna aggiustandosi la gonna, porgendole il biglietto.

"Prendile tu, usale per fare ingelosire quel rammollito di tuo marito."

Accartocciò il biglietto senza leggerlo e lo buttò nel cestino.

Erano settimane che ogni giorno arrivavano fiori da un vecchio amante respinto.

Le dita sottili battevano veloci sui tasti del pc, rispondere alle email arrivate era il primo compito delle sue lunghe giornate di lavoro.
Strategic-planner della più importante agenzia pubblicitaria di Milano, fino ad un anno prima Elettra si sentiva pienamente realizzata.



Aveva un ottimo stipendio che le permetteva di assecondare tutte le sue debolezze, era in affitto in un
loft, piccolo, ma sapientemente arredato, e un nutrito giro di altolocate amicizie le regalava una brillante vita mondana.

Coltivava relazioni sessuali futili, al solo scopo di gratificare il suo ego. Cinica e di una bellezza scandinava, collezionava uomini come collezionava scarpe, per puro diletto.

Dodici mesi prima aveva incontrato Carlo ed era diventata la donna dell’unico figlio di un monumento dell’imprenditoria italiana. L’aveva puntato con la precisione di un killer, l’aveva sedotto, l’aveva avuto.

Qualcosa però da un po’ di tempo la tormentava. Antiche insicurezze, insonnia, voci che sapeva non essere reali.

Le lunghe dita battevano veloce la risposta ad un cliente molto importante. Si osservò la mano, sull’anulare mancava l’anello.

Era diventato un pensiero fisso, ossessivo, voleva vedere un grosso brillante splendere al suo anulare, desiderava sposare Carlo, trasferirsi nell’antica villa appena fuori Milano e avere un figlio il più presto possibile, anche se lei di figli, fino a quel giorno, non ne avrebbe mai voluti.

Carlo non le aveva mai neanche accennato alla possibilità di sposarsi, non aveva neanche mai parlato di convivenza, figuriamoci di figli. Un anno di dipendenza sconsiderata per un uomo decisamente meno interessante di lei, si era trasformata in una spasmodica ricerca di conferme.

Guardando la foto in bella mostra sulla sua scrivania che li ritraeva insieme, felici e appassionati, stesi abbracciati su una spiaggia alle Maldive, avvertì una familiare fitta allo stomaco.

La sua inadeguatezza cronica stava invadendo nuovamente la sua vita. 



Le sue mani cercarono istintivamente il pacco di sigarette nella borsa di Prada, ne mise una in bocca per assaporare ancora spento il profumo aromatico del tabacco. L’ufficio, animato da puntuali stacanovisti come lei, vietava il fumo. Elettra si alzò, andò in bagno per aprire la finestra che dava su corso Torino, inspirò l’aria pungente di quel luglio anomalo e con movimenti lenti e studiati, si accese la terza sigaretta della giornata.

La sua stanza puzzava di stalla, pensò Elettra spalancando le imposte su una serata ancora umida. L’odore fresco di pioggia la rasserenò, le calmò i nervi tesi.

La stanza arredata con tutte le sfumature d’azzurro le sembrò claustrofobica, la luce tenue delle lampade ai lati del letto creava ombre sinistre sulle tende mosse dal vento.

Il vestito per la serata era appeso all’anta dell’armadio, era splendido, pensò. Lei, l’avrebbe valorizzato con la sua figura alta e snella, pensò. Il blu del morbido tessuto avrebbe fatto brillare i suoi occhi celesti, le scarpe alte, confezionate da un noto artigiano, l’avrebbero fatta assomigliare ad una modella, lo spacco profondo avrebbe messo in bella mostra le sue lunghe gambe muscolose.

Seduta a fumare sul letto disfatto, Elettra avrebbe voluto dimenticare l’appuntamento, nascondersi sotto le coperte, ubriacarsi e addormentarsi profondamente.
Tutta la Milano che conta, sarebbe stata al sontuoso ricevimento che la mamma di Carlo aveva organizzato. Lei era la sua accompagnatrice, lei era "quella" che stava con Carlo Mercuzi.