giovedì 28 marzo 2013

Bianca



L’odore di vecchio entrando, mi ricorda la casa della mia bisnonna.
Un tanfo di finestre non aperte, di cucina, di cibo per cani e minestrone.  La signora Bianca mi fa strada verso la cucina. Cammina strisciando il piede sinistro, lenta, curva sotto il peso di quegli anni che dall’aspetto potrebbero essere ottanta.

Le ho chiesto aiuto, ho appena traslocato, avevo bisogno del numero dell’amministratore del condominio.

L’ho incontrata sulle scale, carica di pacchi per la spesa. L’ho aiutata a portarli in casa, gentile, premurosa forte della mia assoluta mancanza di acciacchi.

Le mani deformate dall’artrosi, tristemente nodose, sfogliano una rubrica rossa consunta dal tempo. Dentro le pagine ingiallite, una grafia minuta si accorda perfettamente con  dei polsi sottili, con un altezza dimezzata dal peso di una vita. Prepara un caffè e chiacchiera, ha una voce calda, di nonna.

Racconta di quando si è trasferita lei in quel palazzo, era una ragazza.

Mi descrive la portiera come una brava donna, ma tanto pettegola. Mi racconta della coppia del terzo piano, due  amanti trasferiti da poco, arrossisce pudica, raccontando che la notte si danno alla pazza gioia.

Si allontana, tornando poco dopo, con una scatola di scarpe che poggia sul tavolo in cucina.

Io dovrei andare, ho un milione di cose da fare, di pacchi da svuotare; ho una vita da ricominciare.

Gli occhi cerulei di Bianca, sono imploranti quando mi vede guardare l’orologio. Continua a raccontare, aprendo la scatola carica di vecchie foto.

E’ sola da venticinque anni, il marito, è morto di cancro, racconta con una rassegnazione che il tempo le ha regalato.

 Un bel ragazzo, moro con baffi fuori moda, stretto ad una donna bionda che a stento riconosco nella vecchietta che mi parla. Una gioventù fermata in uno scatto, due innamorati che sorridono all’obiettivo, complici.

Un compleanno, tre bimbi vicini ad una torta, la stessa signora bionda leggermente invecchiata, con una pettinatura diversa e qualche chilo in più, sorride orgogliosa  e compiaciuta.

Mi parla dei figli, tutti maschi, mi dice alzando gli occhi al cielo. Mi racconta di ognuno, facendomi vedere foto di bimbi paffuti, le assomigliano, hanno tutti e tre gli occhi della signora delle foto. Ora i suoi sono appesantiti dalle rughe, le palpebre ricoprono per metà uno sguardo acquoso.

 Sono tutti via i figli, in altre città, tutti sposati e non chiamano quasi mai, mi dice chinando il capo.

 E’ nonna di due nipoti bisbetici come le nuore; ride Bianca, felice della battuta riuscita, mostrandomi due ragazzini che giocano a calcio.

E’ tardi devo andare, devo tornare al mio trasloco ma mi congedo mal volentieri da questa dolce signora sola. Le vorrei fare compagnia, farla parlare dei tempi andati, riempire il vuoto che le si legge in faccia.

Mi scrive il numero dell’amministratore e mi accompagna lentamente alla porta raccomandandomi di venirla a cercare se avessi bisogno di qualcosa.

La bacio sulla guancia rugosa che profuma di sapone, non c’è abituata, impercettibilmente si scansa.

Mi prende le mani tra le sue, si scusa per quel leggero gesto d’imbarazzo.

“Sai tesoro, è troppo tempo che nessuno mi da un bacio, non ci sono più abituata”, mi dice imbarazzata non so se per il mio gesto d'affetto o per la confessione.

Chiusa la porta rimango un attimo ferma a pensare alla potenza distruttiva e malinconica della solitudine e della vecchiaia.

Sicuramente la tornerò a trovare.
Non per pena, perchè un giorno sarò vecchia anche io, e vorrei tanto che una donna sconosciuta mi facesse sentire meno sola per un paio d'ore.

venerdì 1 marzo 2013

Antropologiche differenze



E’ un fatto assodato che la comunicazione tra uomo e donna conserva enormi lacune antropologiche.

 La Venere nascosta nelle donne ha bisogno di esprimersi, continuamente, con fiumi di parole, la donna esterna, racconta, insegna.

Marte, dominatore assoluto della psiche maschile, ascolta solo le cose utili, aspettando con pazienza alcuni, con scarsa altri, che la donna gli presenti un valido problema da risolvere per poi rinchiudersi beato nella sua comoda caverna interiore.

“Niente” è l’insieme di sillabe che normalmente fa tremare un uomo dotato di un discreto grado intellettivo.

Quando l’uomo chiede incautamente “c’è qualcosa che non va amore?” e l’ermetica raccolta di sensazioni che è la donna risponde serafica “niente”, qualcosa puzza di bruciato, si prepara per l’inconsapevole preda, una trappola da cui non potrà scappare facilmente.

Se io fossi uomo, tremerei, avvertirei una scarica alla base del collo, una botta d’adrenalina che geneticamente mi indurrebbe alla fuga, una sensazione di catastrofe imminente che mi porterebbe a fare perdere le mie tracce, penserei, come alternativa, alla legione straniera.
La donna non dice mai "niente" a meno che non sia imbufalita e (cosa strana) troppo arrabbiata per parlare.

Lui, invece, l’uomo, il caro compagno di vita, di sollazzi, il sempiterno seminatore di  calzette, l’irriducibile della goccia, che fa?

 Lui ha tre opzioni perché è un essere semplice.
L'idiota non capisce, archivia la risposta "niente" come vera, crede sul serio nella sua beata ingenuità che "niente" corrisponda a niente. (Caso clinico)

Il pavido ignora totalmente l’amata e la lascia a mollo nelle sue paturnie scatenando l’ira funesta e recriminazioni a cui  non riuscirà a sottrarsi per anni. (Suicida)

 Lo stoico affronta il problema sperando in una archiviazione veloce. (Paziente, coraggioso)
L'idiota è un uomo che ha avuto poco a che fare con le donne, probabilmente ultimo di sette fratelli, figlio di padre vedovo oppure semplicemente tonto.
Lo stoico, uomo senza macchia e dotato di un coraggio al limite dell'incoscenza si lancia comprensivo e attento nel difficoltoso tentativo di sviscerare un problema per lui, in partenza, assolutamente inesistente.

Il pavido, è ovvio, sa di essere in torto, si sente colpevole, fa il sorcio e si nasconde, lurido striscia sperando nell’autoconservazione, con ignavia evita qualsiasi argomento che possa scatenare l’inferno, fa il vago, simulando gastroenteriti fulminanti per impietosire la compagna ( affetta come tutte dal complesso della crocerossina).  Crea partite di calcetto, andate in palestra o cene tra amiconi che l’aiuteranno nel prendere tempo  nella a dir poco vana speranza che lei dimentichi.

Spera e prega che sopraggiunga un evento casuale (problemi al lavoro, figli, pioggia di meteoriti) che distragga la sua compagna.

Ma come fate a non avere capito che noi donne non dimentichiamo mai niente?

Le donne non dimenticano, archiviano, meticolose, in piccoli cassetti del loro sconfinato cervello, tutte le mancanze, bugie e offese del compagno, pronte come delle api assassine a pungere al momento giusto, felici di far uscire a valanga tutto il loro malcontento.

Ho ascoltato con pazienza racconti sofferti di amici lasciati dalle loro compagne.

“Non mi sono accorto di niente, è stato tutto così improvviso!” cianciano ubriachi di sofferenza e gonfi di alcool i mollati di turno.

Ho sempre risposto con gentilezza per non infierire: “Non l’hai ascoltata, lei ti avrà lanciato centinaia di messaggi subliminali, è impossibile che tu non te ne sia accorto”.

“ Giuro, non  mi sono accorto di niente, era come al solito e poi di punto in bianco mi ha piantato” blaterano i lacrimosi nuovi single pronti dopo altri due bicchieri a dire ti amo alla prima sconosciuta che rigonfi il loro ego ferito.

Amici, se la vostra compagna vi risponde “niente” alla domanda “cosa c’è amore?” drizzate le orecchie, sintonizzatevi e  allarmatevi perché quello è un segnale e per dirla come un medico è un sintomo prodromico della fine!!!!