L’odore di vecchio entrando, mi ricorda la casa della mia
bisnonna.
Un tanfo di finestre non aperte, di cucina, di cibo per cani e
minestrone. La signora Bianca mi fa
strada verso la cucina. Cammina strisciando il piede sinistro, lenta, curva
sotto il peso di quegli anni che dall’aspetto potrebbero essere ottanta.
Le ho chiesto aiuto, ho appena traslocato, avevo bisogno del
numero dell’amministratore del condominio.
L’ho incontrata sulle scale, carica di pacchi per la spesa.
L’ho aiutata a portarli in casa, gentile, premurosa forte della mia assoluta
mancanza di acciacchi.
Le mani deformate dall’artrosi, tristemente nodose,
sfogliano una rubrica rossa consunta dal tempo. Dentro le pagine ingiallite,
una grafia minuta si accorda perfettamente con dei polsi sottili, con un altezza dimezzata
dal peso di una vita. Prepara un caffè e chiacchiera, ha una voce calda, di
nonna.
Racconta di quando si è trasferita lei in quel palazzo, era
una ragazza.
Mi descrive la portiera come una brava donna, ma tanto
pettegola. Mi racconta della coppia del terzo piano, due amanti trasferiti da poco, arrossisce pudica, raccontando
che la notte si danno alla pazza gioia.
Si allontana, tornando poco dopo, con una scatola di scarpe
che poggia sul tavolo in cucina.
Io dovrei andare, ho un milione di cose da fare, di pacchi
da svuotare; ho una vita da ricominciare.
Gli occhi cerulei di Bianca, sono imploranti quando mi
vede guardare l’orologio. Continua a raccontare, aprendo la scatola carica di
vecchie foto.
E’ sola da venticinque anni, il marito, è morto di cancro,
racconta con una rassegnazione che il tempo le ha regalato.
Un bel ragazzo, moro
con baffi fuori moda, stretto ad una donna bionda che a stento riconosco nella
vecchietta che mi parla. Una gioventù fermata in uno scatto, due innamorati che
sorridono all’obiettivo, complici.
Un compleanno, tre bimbi vicini ad una torta, la stessa
signora bionda leggermente invecchiata, con una pettinatura diversa e qualche
chilo in più, sorride orgogliosa e
compiaciuta.
Mi parla dei figli, tutti maschi, mi dice alzando gli occhi
al cielo. Mi racconta di ognuno, facendomi vedere foto di bimbi paffuti, le
assomigliano, hanno tutti e tre gli occhi della signora delle foto. Ora i suoi
sono appesantiti dalle rughe, le palpebre ricoprono per metà uno sguardo
acquoso.
Sono tutti via i
figli, in altre città, tutti sposati e non chiamano quasi mai, mi dice chinando
il capo.
E’ nonna di due
nipoti bisbetici come le nuore; ride Bianca, felice della battuta riuscita, mostrandomi due ragazzini che giocano a calcio.
E’ tardi devo andare, devo tornare al mio trasloco ma mi congedo
mal volentieri da questa dolce signora sola. Le vorrei fare compagnia, farla
parlare dei tempi andati, riempire il vuoto che le si legge in faccia.
Mi scrive il numero dell’amministratore e mi accompagna
lentamente alla porta raccomandandomi di venirla a cercare se avessi bisogno di
qualcosa.
La bacio sulla guancia rugosa che profuma di sapone, non c’è
abituata, impercettibilmente si scansa.
Mi prende le mani tra le sue, si scusa per quel leggero
gesto d’imbarazzo.
“Sai tesoro, è troppo tempo che nessuno mi da un bacio, non
ci sono più abituata”, mi dice imbarazzata non so se per il mio gesto d'affetto o per la
confessione.
Chiusa la porta rimango un attimo ferma a pensare alla
potenza distruttiva e malinconica della solitudine e della vecchiaia.
Sicuramente la tornerò a trovare.
Non per pena, perchè un giorno sarò vecchia anche io, e vorrei tanto che una donna sconosciuta mi facesse sentire meno sola per un paio d'ore.