giovedì 20 settembre 2012

Reazione di Lucilla (mia madre)



Mai avrei pensato di arrivare a questo punto con Marcello, il mio Marcello.
Con mio enorme stupore si è trasformato in un narciso ego riferito, petulante e potenzialmente killer seriale, che strabuzza gli occhi ogni volta che gli rivolgo la parola.
Ma parliamo appunto del putiferio che una separazione provoca al di fuori di quel macro cosmo di dolore che siete tu e tuo marito. 
Iniziamo da lei, la fonte autorevole di tutte le mie mancanze emotive, le forbici che hanno cercato di castrarmi per tutta la mia complicata adolescenza, la cuccia che non ho mai trovato calda quando ne avevo bisogno: Lucilla, mia madre.
Alla notizia della separazione mi ha giurato odio eterno per avere lasciato “quell’ottimo ragazzo” di Marcello, come lo definisce lei.
Il fatto che mi abbia reso infelice, che mi abbia trascurato, non amato, tradito più volte, non le provoca neppure un leggero turbamento, neanche un tremolio d’occhio, un sospiro di compartecipazione al dolore di sua figlia.
 E’ entrata ticchettando su delle Prada da quattrocento euro, mi ha fissato con i suoi occhi azzurro ghiaccio e puntandomi contro un dito con un’unghia laccata rosso sangue, ha esordito così “Lo so che mi devi dire qualcosa di spiacevole signorina, non mi inviti mai a cena senza le tue sorelle, allora sentiamo?!?!".
L’aura nefasta di mia madre aveva invaso la stanza di una negatività palpabile, il suo asfissiante profumo mi faceva prudere il naso.
Ho notato gli occhi rossi, le mani che tremanti si accendevano una sigaretta, la gonna non perfettamente in ordine.
“Mamma hai litigato con Giada?” ho chiesto già sicura della risposta.
“Certo!!!” ha quasi urlato felice di poterne parlare.
“Tua sorella mi farà morire, mi farà venire un infarto. L’ho trovata a casa sul mio, e ripeto mio, divano, completamente nuda a fare un servizietto a uno che poteva avere la mia età, che fumava un sigaro dall’odore nauseabondo e che mi ha guardato con aria lasciva e invitante quando li ho scoperti  in salotto. Non posso più stare in pace a casa mia!"
"Ma che male ho fatto per avere delle figlie così sciagurate??“ si sfogava la mia pudica e sconvolta mammina.
“Un servizietto?? Che intendi esattamente mamma?” ho chiesto dispettosa, godendomi la sua espressione disgustata.
“Non te la dico quella parola, neanche se mi torturi, chiedi a tua sorella cosa intendo per servizietto!!!”.
“Tu cosa hai? Che c’è di nuovo? Cosa hai combinato?” mi ha chiesto tentando goffamente di riprendere il controllo con le mani ancora tremolanti, puntandomi il dito contro come una lancia.
A quel punto seduta sul divano osservando mia madre sul punto di non ritorno per una seria crisi di nervi, non sapevo se:

-iniziare una seria  e lunga filippica sull’impossibilità di una convivenza tra una madre sessantenne e una figlia trentacinquenne single e decisamente disinvolta con gli uomini.

-sviare il discorso “separazione”  per evitarle un infarto spiegandole nei minimi dettagli che un rapporto orale può essere piacevole, mimando se necessario, scioccandola per sempre.

-ucciderla raccontandole della fine del mio matrimonio! 

Ho optato per l’ultima opzione unendo l’utile allo “sperato” dilettevole!
Quasi mai ho visto Lucilla senza parole.
 I commenti acidi, i commenti sarcastici, le stoccate velenose, gli insulti sottintesi, fanno parte del nostro modo di comunicare.
Ho iniziato il discorso con un secco “Mamma sai io e Marcello, non andiamo più d'accordo, siamo arrivati al capolinea, non ci amiamo più, ci lasciamo, definitivamente.”
Sotto una messa in piega di prim’ordine, i suoi grandi occhi color mare d'inverno, hanno guardato un punto indistinto in alto nel cielo e stringendo le labbra dipinte impeccabilmente da un costoso rossetto, ha emesso un potente rantolo asmatico.
“Sospiri mammina?
Vedere la sua faccia invecchiare nonostante il botox,  impallidire sotto un trucco sapiente alla fine del mio racconto, mi ha fatto pensare di esserci riuscita, stava per avere un infarto secco e per un attimo mi sono dispiaciuta, ho provato rimorso.
“Mami vuoi un bicchiere d’acqua?“ ho timidamente chiesto nella speranza di scuoterla dall’espressione catatonica in cui si era cristallizzata.
“Non mi chiamare mami…” ha abbaiato scoprendo i canini, riprendendosi e lanciandomi un’occhiata assassina.
Si è alzata, ha messa a posto la gonna, preso la borsetta annaspando alla ricerca di chiavi della macchina e sigarette e senza dirmi una parola è andata via lasciando la porta aperta.
Si è negata  per due giorni, le ho lasciato dodici messaggi in segreteria facendo appello al suo quasi inesistente senso materno, pregandola di starmi a sentire e chiedendole in prestito un po’ di pillole del suo sonnifero, confessandole che soffro, ma lei niente, la mia affettuosa mammina è rimasta immobile nell’assenza.
Ha trovato, lo so e l’ho letto nel guizzo diabolico del suo sguardo, un argomento di conversazione piccante con le sue amiche di Circolo (affettuosamente chiamate da me ”le girls”), storia con cui allietare piovosi pomeriggi autunnali di noia con lunghe telefonate accorate che iniziano tutte più o meno  con “guarda tesoro sono avvilita, non sai (pausa ad effetto) non sai, cosa ha combinato quella sciagurata di mia figlia Paola” oppure “ti rendi conto??? Un divorzio, mi vogliono morta, lo fanno apposta, le mie figlie mi vogliono uccidere!!”.

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