Da
due giorni la lettere del perfido avvocato di Marcello giace ancora sigillata sulla
scrivania in salone.
Non
ho il coraggio d’aprirla, sono una vigliacca, so che leggere quelle parole
scritte da un estraneo decreteranno ufficialmente la fine del mio matrimonio, è
la richiesta ufficiale di separazione.
Non
sono pronta adesso, la leggerò a Bologna, quando i bambini saranno a scuola,
quando sarò nella mia tana, da sola.
Marcello
minaccia una separazione giudiziale, è ferito, non sopporta che io non lo ami
più. Lo capisco, è un uomo, (quindi già per natura cerebralmente ipodotato) e in più è
un uomo che ha paura di restare solo, di dovere ricominciare, terrorizzato che il
suo mondo precostituito ed ignorato venga distrutto. So che si vede povero, in
un mini appartamento intento a cucinare, lavare, stirare e pulire. Il panico
non lo farà respirare.
Mi
dispiace, immensamente. Mi dispiace di non essere più felice con lui, di non
amarlo più, vorrei fosse diverso ma non lo è.
Ho
tolto la fede dal mio anulare, un simbolico gesto di distacco che era
necessario. L’ho conservata con tenerezza, con rispetto.
Mi
guardo la mano continuamente, è libera,
anche se l’anulare si è affusolato nel
punto dove la portavo e un piccolo cerchietto bianco me ne ricorda l’assenza. Tra
un paio di mesi, sparita l’abbronzatura forse anche io non ci farò più caso.
La mia adorata villetta sul mare nella ridente
frazione di Messina, Torre Faro, domani verrà chiusa fino a Natale.
Quanto
amo questa casa, penso chiudendo gli ultimi scatoloni da spedire a Bologna.
L’elegante eucalipto del giardino riempie il salone della sua pungente
fragranza, mi manca quest’odore quando
non vivo qua.
Cagnetta,
la mia vecchiotta bastardina color miele,
è triste, sa che stiamo per partire, che Claudio e Alessandro non la useranno più come tiro a bersaglio,
sta accucciata in un angolo della stanza, immobile mi guarda dal basso verso
l’alto con i suo dolci occhi marroni.
Il
sole tramonta colorando il cielo di un caldo rosso dorato, mentre accarezzo il
muso ormai bianco di Cagnetta.
Dal
giardino sento le voci allegre dei miei figli e del gineceo con cui sono
imparentata, come farò ad affrontare tutto da sola? A volte mi chiedo perché non
ritorno stabilmente a vivere nella mia città, me lo chiedo ogni volta che
faccio le valige per tornare a Bologna.
“Paola
serve altro vino, tua madre beve come una spugna!” urla Giada ridendo.
La
piccola Azzurra arriva incerta sulle sue paffute gambette, mi guarda sgranando
i grandi occhi che tutte abbiamo ereditato da mio padre e mi prende la mano per
portarmi fuori.
Era stato invitato anche Marcello ma il suo diabolico avvocato avrà pensato che dividere il desco con quella che fino a ieri era la sua famiglia fosse riprovevole e pericoloso.
“Allora
questo vino? Qui la matrona ha sete!”
Lucilla
ha incastrato Silvana in una di quelle odiose discussioni che solo le madri
riescono a fare. Discussioni provocatorie-indagative, quelle in cui Lucilla eccelle.
“Allora
come va con Pietro?” chiede infastidita a una
Silvana quasi brilla, stravolta dalla stanchezza semisvenuta sul dondolo, mentre i suoi nipoti attentano alla sua messa in piega con luride manine.
“Ahi!”
diciamo in coro io e Giada ridendo. “Io fossi in te mi nasconderei dietro un
astuto “no comment”.
“Bene
mamma, bene, ci si parla poco per ora, sai la bambina mi impegna molto, ma è
tutto a posto” dice scostando una ciocca di capelli biondi freschi di
parrucchiere.
“Sai
dopo la nascita di un bambino è normale che….” Inizia mamma lanciatissima in un
noiosissimo discorso da saputella.
“Ah
no mamma, ti prego!” dice Giada interrompendola.
“Non
provare a fare la madre amorevole, non ti riesce proprio, piuttosto ho fame
porti in tavola la frittata che hai preparato?” Giada è così, sarcastica. Vivendo insieme a Lucilla è quella che emotivamente patisce di più la sua influenza nefasta, è così magra che le si vedono le ossa e da un paio di mesi veste sempre di nero.
Tutte e tre guardiamo nostra madre scuotendo la testa sorridendo, nell’affettuoso
tentativo di farle capire che un genere di approccio madre-figlia classico,
affettivo e accogliente non ci convince, non ce la fa, non ci siamo neanche
abituate, ci imbarazzerebbe.
Un
leggero vento di scirocco scompiglia i capelli di Lucilla mentre ancora col
broncio porta in tavola i piatti che ha preparato per noi. Lo fa per abitudine
di viziarci con piatti sublimi e ipercalorici nel tentativo di compensare col
cibo quell’affetto che per sua natura non riesce a donare. Li ha cucinati per me, è triste, non vorrebbe vedermi partire.
“Ti
sei tolta la fede?” mi sussurra Silvana in un orecchio,.
Annuisco.
La mia dolce sorella capisce bene i miei stati d’animo e come se i nostri
pensieri fossero collegati da profonda empatia.
Con la tavola stracolma di delizie tipicamente siciliane, Giada alza il bicchiere per un brindisi.
"A quella scema di Paola che ci abbandona ancora una volta, a questa ultima cena insieme! Ricordati sorellona "Morto un papa se ne fa un altro!".
Nessun commento:
Posta un commento