martedì 10 settembre 2013

Sindrome da rientro



Eccoci!
Si parte, domani si rientra, si lascia l’amata Sicilia per il profondo e freddo nord.
Valigie già chiuse e una depressione mistico-nostalgica che ti attanaglia.
Seduta in terrazza ad ammirare il mare al tramonto con una birra in mano si ripensa ai giorni passati con struggente nostalgia.
Ogni anno è così, già una settimana prima della partenza si è afflitti dalla sindrome da rientro di noi giovani emigranti.
 Sindrome da rientro
Una settimana prima:
si telefona …moltissimo… a tutti i parenti e amici ancora residenti per un ultimo addio. Lacrimevoli frasi come “ ma perché non torni?”,  “questa è casa tua”, non saresti più così sola”, “ tu sei siciliana nel profondo”, “ ti do un anno, poi torni!”  ti vengono subdolamente servite come aperitivo nelle cene d’addio equamente distribuite tra i sadici affetti indigeni. Ai saluti, dopo ore passate tra caponate memorabili, parmigiane da urlo, pasta al forno e pesce come se piovesse, inebriati da ettolitri di vino rigorosamente siciliano, l’espressione degli affetti locali è un misto tra il compatimento di una vita lontana dal MARE e dalla FAMIGLIA e una sana invidia per una doppia vita che in molti, nonostante le difficoltà del caso, ti invidiano.
Si stila una lista, (io che sicuramente ho bisogno di un bravo psicoterapeuta) di tutto quello che volevi vedere, fare e mangiare e che ancora non sei riuscita a vedere, fare e mangiare, nella vana e ridicola speranza di colmare queste mancanze negli ultimi giorni rimasti. Dotata di una spiccata vena sado-masochista, ti programmi  con accanita convinzione un “programmino” che colmi le lacune in cui disgraziatamente sei caduto per mancanza di tempo .
Ogni notte guardi il mare con l’animo di un condannato a morte.
Quattro giorni prima della partenza:
Assumendo un finto atteggiamento di superiorità, di nascosto dai consanguinei, perseveri nel tuo “programmino” del vedere, fare e mangiare con un accanimento molesto degno  di un ingegnere della Bocconi. Usi espressioni tipo “ la mia spiaggia”,(sospiro ansioso) “il  mio mare” (senso di appartenenza) , e non paga, “la mia terra” (va bhè…che gli vuoi dire alla mia terra...si capisce…).
 Saluti la spiaggia della tua infanzia con un ardore, misto a rassegnazione che neanche un Ulisse dei giorni nostri, prima di partire per un Odissea farebbe. La saluti e gli dai appuntamento per l’anno prossimo,. Scientifica, consapevole, speranzosa, perché non si sa mai…
Ti riunisci con amici del sud che vivono al nord e che tacitamente sai che passano un delirio interiore simile al tuo e con disinvoltura, tra un caffè e una sigaretta, armati di calendario si esaminano i ponti, le festività e le possibilità che l’anno ti offre per fuggire nuovamente a casa.
Anche se piove si va in spiaggia con emigranti in partenza, comunque, per tipiche riflessioni da emigranti: “che sarà mai, sono due gocce”, “il mare sotto la pioggia ha un fascino particolare”, “sai, un po’ mi sono stufata di tutto questo caldo”. Si lanciano sguardi di complicità emotiva dissertando sull’opinione comune che “gli altri” (quelli che vivono nella loro città, fanno un viaggetto e ritornano), non sanno cosa vuol dire stare da soli. “Ma che ne sanno loro di cosa vuol dire…” sospirato in compagnia.

Due giorni prima della partenza:
Ti guardi allo specchio  e ti trovi sbiadita, l’abbronzatura  va via, iniziano le piogge che ti impediscono di stramazzare al sole per le ultime volte. Ti chiudi nostalgicamente in te stessa facendo le valige, metti via i ricordi di quella splendida vacanza alle isole Eolie (conchiglie, tappi di bottiglie, biglietti sbiaditi dell’aliscafo) ricordando quanto ti sentivi felice, di quanto erano belli i suoi occhi.
Poi ti ubriachi selvaggiamente per stordirti  e trovare il coraggio di affrontare l’ennesima cena tra parenti, improvvisamente allegra e di buon umore.
Il cuore è piccolo come una nocciolina americana davanti l’alba che ti sei costretta ad ammirare per cancellare almeno una, delle dieci voci, che rimangono sulla tua maledetta lista.
Compri i capperi, pomodori  e melenzane sott’olio, estorci dal cuoco del tuo ristorante preferito la ricetta di quella caponata  che ti è piaciuta tanto, sapendo di avere un inverno per poterla riprodurla.
 Giorno della partenza:
Sei ufficialmente depressa.
La giornata ti passa con una rassegnazione tipica di un ergastolano, vegeti sperando di non scoppiare in lacrime al semaforo sentendo “Estate” di Jovanotti alla radio.
Sei allegra come una tigre affamata alla stazione, quando vedi quelle mani che fanno ciao, i baci, i “ci vediamo a Natale”, non puoi farne a meno, per un micro secondo li detesti perché a loro l’idea di partire non li ha mai sfiorati.
Domani si rientra.

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