Eccoci!
Si parte, domani si rientra, si lascia l’amata Sicilia per
il profondo e freddo nord.
Valigie già chiuse e una depressione mistico-nostalgica che
ti attanaglia.
Seduta in terrazza ad ammirare il mare al tramonto con una
birra in mano si ripensa ai giorni passati con struggente nostalgia.
Ogni anno è così, già una settimana prima della partenza si
è afflitti dalla sindrome da rientro di noi giovani emigranti.
Sindrome da rientro
Sindrome da rientro
Una settimana prima:
si telefona …moltissimo… a tutti i parenti e amici ancora
residenti per un ultimo addio. Lacrimevoli frasi come “ ma perché non torni?”,
“questa è casa tua”, non saresti più così sola”, “ tu sei siciliana nel
profondo”, “ ti do un anno, poi torni!” ti vengono subdolamente servite come aperitivo
nelle cene d’addio equamente distribuite tra i sadici affetti indigeni. Ai
saluti, dopo ore passate tra caponate memorabili, parmigiane da urlo, pasta al
forno e pesce come se piovesse, inebriati da ettolitri di vino rigorosamente
siciliano, l’espressione degli affetti locali è un misto tra il compatimento di
una vita lontana dal MARE e dalla FAMIGLIA e una sana invidia per una doppia
vita che in molti, nonostante le difficoltà del caso, ti invidiano.
Si stila una lista, (io che sicuramente ho bisogno di un
bravo psicoterapeuta) di tutto quello che volevi vedere, fare e mangiare e che
ancora non sei riuscita a vedere, fare e mangiare, nella vana e ridicola
speranza di colmare queste mancanze negli ultimi giorni rimasti. Dotata di una
spiccata vena sado-masochista, ti programmi
con accanita convinzione un “programmino” che colmi le lacune in cui
disgraziatamente sei caduto per mancanza di tempo .
Ogni notte guardi il mare con l’animo di un condannato a
morte.
Quattro giorni prima
della partenza:
Assumendo un finto atteggiamento di superiorità, di nascosto
dai consanguinei, perseveri nel tuo “programmino” del vedere, fare e mangiare
con un accanimento molesto degno di un
ingegnere della Bocconi. Usi espressioni tipo “ la mia spiaggia”,(sospiro
ansioso) “il mio mare” (senso di
appartenenza) , e non paga, “la mia terra” (va bhè…che gli vuoi dire alla mia
terra...si capisce…).
Saluti la spiaggia
della tua infanzia con un ardore, misto a rassegnazione che neanche un Ulisse
dei giorni nostri, prima di partire per un Odissea farebbe. La saluti e gli dai
appuntamento per l’anno prossimo,. Scientifica, consapevole, speranzosa, perché
non si sa mai…
Ti riunisci con amici del sud che vivono al nord e che
tacitamente sai che passano un delirio interiore simile al tuo e con
disinvoltura, tra un caffè e una sigaretta, armati di calendario si esaminano i
ponti, le festività e le possibilità che l’anno ti offre per fuggire nuovamente
a casa.
Anche se piove si va in spiaggia con emigranti in partenza, comunque,
per tipiche riflessioni da emigranti: “che sarà mai, sono due gocce”, “il mare
sotto la pioggia ha un fascino particolare”, “sai, un po’ mi sono stufata di
tutto questo caldo”. Si lanciano sguardi di complicità emotiva dissertando
sull’opinione comune che “gli altri” (quelli che vivono nella loro città, fanno
un viaggetto e ritornano), non sanno cosa vuol dire stare da soli. “Ma che ne
sanno loro di cosa vuol dire…” sospirato in compagnia.
Due giorni prima
della partenza:
Ti guardi allo specchio
e ti trovi sbiadita, l’abbronzatura
va via, iniziano le piogge che ti impediscono di stramazzare al sole per
le ultime volte. Ti chiudi nostalgicamente in te stessa facendo le valige,
metti via i ricordi di quella splendida vacanza alle isole Eolie (conchiglie,
tappi di bottiglie, biglietti sbiaditi dell’aliscafo) ricordando quanto ti
sentivi felice, di quanto erano belli i suoi occhi.
Poi ti ubriachi selvaggiamente per stordirti e trovare il coraggio di affrontare l’ennesima
cena tra parenti, improvvisamente allegra e di buon umore.
Il cuore è piccolo come una nocciolina americana davanti l’alba
che ti sei costretta ad ammirare per cancellare almeno una, delle dieci voci, che
rimangono sulla tua maledetta lista.
Compri i capperi, pomodori e melenzane sott’olio, estorci dal cuoco del
tuo ristorante preferito la ricetta di quella caponata che ti è piaciuta tanto, sapendo di avere un
inverno per poterla riprodurla.
Giorno della partenza:
Sei ufficialmente depressa.
La giornata ti passa con una rassegnazione tipica di un
ergastolano, vegeti sperando di non scoppiare in lacrime al semaforo sentendo “Estate”
di Jovanotti alla radio.
Sei allegra come una tigre affamata alla stazione, quando
vedi quelle mani che fanno ciao, i baci, i “ci vediamo a Natale”, non puoi
farne a meno, per un micro secondo li detesti perché a loro l’idea di partire
non li ha mai sfiorati.
Domani si rientra.
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