giovedì 24 gennaio 2013

Un incontro impossibile



Era seduta timida, composta, fresca dei suoi quindici anni al tavolino di un bar in centro. Le ho dato appuntamento alle dieci, è arrivata in anticipo, mi fermo curiosa ad osservarla dietro il vetro, di nascosto.

Porta jeans stretti, scarpe da ginnastica Adidas, un maglione lungo, a collo alto che nasconde le forme appena sbocciate. I lunghi capelli chiari fanno da cornice a due occhi sgranati, attenti nella lettura di un libro giallo. Siamo vestite quasi uguali.

 Non ha fretta, è rilassata. Ha ordinato una brioches e una spremuta d’arancia, che per metà, attende di essere bevuta.

Fuori dal bar rabbrividisco, ne riconosco il sorriso aperto, le mani che si muovono come a seguire una musica immaginaria e in un impeto di tenerezza vorrei entrare e senza una parola abbracciarla fino a farle mancare il fiato. Le vorrei dire tante cose che lei non è pronta a sentire, devo essere cauta, attenta a misurare le parole, a non essere fraintesa. So che ha una sensibilità molto spiccata nel leggere tra le righe, nell’osservare, è abituata ad ascoltare e a parlare poco di sé e porta con se la presunzione tipica della sua età. Devo essere controllata nonostante l’emozione.

Mi avvicino al tavolino d’angolo che ha scelto, ostentando una sicurezza che non provo e la saluto. Lei si alza, impacciata, appoggia il libro sul tavolino senza preoccuparsi di mettere il segno che l’aiuterebbe a trovare l’ultima pagina letta.

"Buongiorno Paola, sono felice d’incontrarla." dice incerta.

"Ciao, come stai? Ma ti prego dammi del tu, mi sento così vecchia guardandoti."

Il suo viso è senza rughe, chissà perché vedere la sua pelle liscia, priva di increspature d’espressione, scevra dal lavorio che il tempo e le emozioni scrivono sul volto di una quarantenne come me, mi sorprende.

"Accomodati, vuoi qualche altra cosa? Io prendo un caffè decaffeinato, sai la caffeina mi fa male!” le dico facendo cenno alla cameriera di avvicinarsi, cercando di smorzare un’emozione crescente.

“Veramente? Io bevo litri di caffè, lo adoro! Si vede che nella vita si cambia!” mi risponde sorridendo.

"Come sta? Stai, volevo dire stai, scusa è che sono così abituata a dare del lei alle persone grandi che mi esce in automatico."

Quelle due parole “Persone grandi” risuonano ancora nella mia mente quando il caffè mi viene gentilmente servito al tavolo.

“E’ strano incontrarci, inusuale, ma sono felice di averti qui difronte a me” inizio intimidita.

“Sì pazzesco, se qualcuno mi avesse detto che era possibile non ci avrei creduto, mai, giuro!” mi risponde entusiasta accompagnando le parole con uno svolazzo di mani per amplificarne il significato.

"Come stai?" Le chiedo prendendole istintivamente una mano.

“Questo lo dovrei chiedere io a te, no? “risponde sorridente ma irrigidita da un contatto a cui non è abituata.

“E’ un periodo difficile, doloroso ma tutto da vivere, passerà, non può piovere per sempre no? “ rispondo facendo l’occhiolino, attenta a non rivelare nessun particolare della mia vita, citando una frase di un film che so che ha visto centinaia di volte.

“Il Corvo è uno dei….ma sì …lo sai che è uno dei miei film preferiti!” risponde con un sorriso che mi allarga il cuore e che mi riporta indietro nel tempo. Diventando grandi si perde la capacità di sorridere con tanta ingenuità, penso cinica.

Mi guarda le unghie smaltate di rosso e sorride beata, guardando le sue smangiucchiate. Sospira contenta.

“Come stai?" Le richiedo incoraggiante, raccontami di te, ti prego, ne ho bisogno.

Lei rimane interdetta per un attimo, guardandomi negli occhi e poi come un fiume in piena si lancia nei racconti, sa che con me si può confidare, si può lasciare andare, sa che sono l’unica con cui si prenderebbe la libertà di farlo, tranquillamente senza filtri.

Mi parla della scuola, di suo padre, l’unico vero amore della sua vita, mi rimarca sorridendo. Mi parla delle litigate con la madre, dei problemi che ha con lei, di come la faccia sempre sentire sbagliata. Usa parola da bambina, infervorata in un discorso troppo complicato perché lei lo possa ancora capire, che le fa tremare di rabbia.

Mi racconta del suo ragazzo, il primo e unico che amerà, che è ancora troppo presto per fare l’amore con lui, delle sue aspettative, dei suoi sogni. Mi confessa che è gelosa. Mi domanda emozionata se posso raccontarle come andrà a finire, speranzosa, innamorata, anche se sa che non mi è concesso risponderle.

Al mio cenno di no con la testa continua a parlare di pranzi in famiglia, di vacanze allegre, dei nonni che ama tanto e di liti furibonde con quelle matte delle sua sorelle.

Non devo piangere, mi ripeto come un mantra, non devo piangere, devo trattenermi, non puoi farle paura, non posso piangere, ma poi stupita dai miei stessi pensieri mi lascio andare, le lacrime cominciano a scendere senza pudore, senza timore di giudizio, bisbiglio solo un timido “scusa sai, non piango spesso, ma mi sono emozionata, non sono triste, solo molto emozionata dai tuoi racconti, continua ti prego, parlami dei tuoi progetti.”

“Vorrei studiare psicologia, così in futuro risparmierei i soldi di anni di analisi, vorrei vivere sul mare in una grande casa bianca, mi piacerebbe avere almeno quattro figli perché i bambini mettono allegria e non mi voglio sposare, per nessun motivo al mondo!”

“Sì questo lo ricordo, non ti vuoi sposare!” Sorrido sperando che non veda la piega amara della mia bocca.

“Voglio un amore che sia un’eccezione, immenso e totale e voglio saltuariamente impazzire di felicità” mi dice prendendomi la mano in una muta richiesta di conferma.

“L’unica cosa che ti posso dire piccola mia e che lo continuerai a pensare anche a quaranta in questo siamo state coerenti e decise, le dico alzandomi.
"Devo andare adesso" le dico.
E' delusa, mi chiede " Almeno dimmi se sarò felice, ti prego!" mi chiede curiosa.
"Saltuariamente impazzirai di felicità" questo te lo posso confidare.

So che l’incontro è finito e che probabilmente non ci rincontreremo mai più. Lei vorrebbe rimanere, sapere, domandare, indagare ancora. E’ ancora troppo trasparente le leggo in faccia i suoi pensieri, cambierà.

La abbraccio stretta, le sussurro in mezzo ai capelli che profumano di un balsamo che uso ancora,

“Ti voglio bene, tanto bene, di un bene così grande che ancora tu non riesci a comprendere. Ama, gioca, piangi e vivi esattamente come vuoi  andrà tutto bene, te lo assicuro."

Si stacca dal mio abbraccio, mi osserva il viso, mi tocca i capelli, mi guarda negli occhi, nei suoi occhi.

 “Mi piaci, mi piaci molto sai, sarò molto felice di diventare te tra venticinque anni, sarò più calma, più magra, non mi mangerò più le unghie, sono soddisfatta: ero spaventata dal nostro incontro, avevo paura di vedermi orrenda, vecchia o di non vederti affatto.

L’ho lasciata lì, al suo tavolino, Paola, la me di venticinque anni fa, a leggere il suo libro. Le ho dato un’ultima occhiata andando via, mi ha sorriso da lontano ignara di quanto la vita le avrebbe regalato e di tutto quello che le avrebbe tolto, ignara di quanto sarebbe cambiata e di quanto indissolubilmente saremmo rimaste uguali.














Nessun commento:

Posta un commento