lunedì 28 gennaio 2013

Notte al pronto soccorso


L’orologio segna mezzanotte.

Nella sala d’aspetto del pronto soccorso dell’ospedale  Sant’Orsola c’è molto movimento nonostante l’ora tarda. Una mamma culla il figlio dolorante per un più che evidente bernoccolo sulla fronte. “E’ caduto dal letto e ha sbattuto contro il comodino, saltava e cantava e poi giù, lo so che è una sciocchezza però le botte in testa mi fanno paura” dice in risposta al mio sguardo interrogativo.

Chissà perché molte mamme che arrivano trafelate con il figlio gonfio per qualche assurda peripezia che solo i bambini hanno la potenza di compiere la domenica sera, tendono a giustificarsi per paura di essere scambiate per mamme che picchiano i propri figli.

Tanti neonati con la febbre alta accompagnati da genitori col terrore dipinto in faccia affollano la piccola sala, se mi va bene quando andrò via, porterò con me una bella influenza!

Il riscaldamento è al massimo, soffocante. Ho preso la macchina per venire qua, forse non avrei dovuto ma non avevo altra scelta. Un’abbondante signora in pantofole, piange con discrezione in un angolo, aspetta notizie del marito, un codice rosso, portato d’urgenza in neurologia.

Io sono un codice verde, posso aspettare.

Sì, ho capito ma a me gira la testa e mi sento morire, ho i brividi e il cuore batte random seguendo un ritmo che non è normale…Quando mi chiamano?

Ero a casa, avevo messo a letto i bimbi da un po’ e guardavo un film angosciante sul nazismo quando improvvisamente mi è mancato il respiro, la testa ha cominciato a girare e avevo la netta sensazione di svenire. Mi sono seduta e nel panico totale la parte saggia di me ha razionalizzato.

Chiamare la vicina per tenere i bambini, uscire direzione pronto soccorso. Questi  sono stati gli unici pensieri coerenti alla situazione che sono riuscita a produrre. Avrei dovuto chiamare un taxi, invece ho guidato, posteggiato e sono entrata tremante al pronto soccorso.

Forse è stato un mese molto difficile, forse è solo un forte attacco d’ansia, forse una di quelle misteriose influenze senza febbre…Ma quando mi chiamano?

Pensando positivo, la situazione non è così grave, se mi viene un infarto sono nel posto giusto…

“Prego si accomodi” mi dice un infermiere che zoppica con un accento del profondo sud.

Disciplinata come una scolaretta lo seguo in ambulatorio.

Mi fanno accomodare su un lettino e un anziano medico con gli occhiali mi intima di spogliarmi senza neanche guardarmi.

Almeno guardami no? Il contatto visivo crea empatia non te l’hanno insegnato anni di duro lavoro?

In silenzio, con uno stetoscopio ghiacciato ascolta il mio cuore ballerino e subito dopo con appena un gesto del capo mi invita a porgergli il braccio per misurare la pressione.

“Mi dica, cosa succede? “mi chiede gentile.

“Non dovrebbe dirmelo lei?”  rispondo agitata.

“Ha la pressione alta normalmente?” chiede scrivendo qualcosa su un registro.

“No, bassa direi, sempre 70 su 110 di solito, perché?” chiedo sempre più ansiosa.

“Ha la pressione alle stelle ed  è tachicardica” sentenzia guardandomi serio.

“Quindi cosa c’è che non va?” chiedo irritata.

“Ha una crisi di panico, spesso i pazienti la scambiano per un infarto, si tranquillizzi è tutto a posto, ora le darò qualcosa per calmarla. E’ allergica a qualche medicinale?” mi chiede gentile.

La crisi di panico e l’invito a tranquillizzarmi è un ossimoro che non riesco a non notare.

“Cosa non va nella sua vita in questo momento?” chiede premuroso iniettandomi un liquido che dovrebbe farmi passare questo senso di oppressione.

Tornata a casa un’ora dopo, liquidata la vicina con tanti e sentiti ringraziamenti, mi sono messa a letto col terrore che il panico si facesse risentire.

“Cosa non va nella mia vita?”…che domanda azzeccata…

Ho intrattenuto lo sbigottito e paziente dottore per una buona mezz’ora raccontando della fine del mio matrimonio, del prossimo trasloco, delle difficoltà lavorative, dei soldi che non bastano mai.

Gli ho raccontato di Lucilla che mi strazia con i suoi rimproveri sulla morale, del mio ex marito che mi logora con le sue accuse, della mancanza di un abbraccio quando sei stanca. Gli ho parlato della mia cellulite, dei quarant'anni che pesano, della mia voglia di un altro figlio. Mi ha ascoltato quando blateravo sulla mia voglia di pace, di un lifting, e del corso di zumba a cui non posso iscrivermi per mancanza di pecunia.
 Gli ho confessato spudorata della mia assoluta mancanza di buon sesso e di quanto mi manca avere un vigoroso uomo accanto,mentre il mio cuore ritornava a battere normalmente.

Lui  ha ascoltato serafico, stoicamente le mie divagazioni su una vita che al momento non mi soddisfa , si è tolto gli occhiali e serio serio mi ha domandato “Signora, aspetta le mestruazioni?”

Mi sono fatta una grassa risata, che per il mio turbolento stato emotivo è stato un grande momento liberatorio e tornando a casa ho pensato ai soldi risparmiati di una seduta dallo psicologo e al simpatico dottore sposato con una donna che evidentemente mi assomiglia.

Ma gli uomini pensano davvero che le donne siano delle creature mediamente isteriche sregolate da flussi ormonali ballerini?!?


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