Stasera arancine!
Mia mamma,
lo sa. Quando cucino le arancine o come si dice a Messina, gli arancini, lei lo
sa, lo sa.
Che quello che è, c’è…
E’ complicato
a volte tradurre in italiano un concetto siciliano. Ci provo.
Mia madre, con
fare saccente, alzando gli occhi al cielo, pronuncerebbe questa frase entrando
in cucina e vedendo gli ingredienti di rito per la preparazione degli arancini
sul tavolo da cucina, quasi senza guardarmi, senza aspettare una risposta, vaga
e allusiva come solo una madre sa essere. La ripeterebbe due volte, per essere
capita meglio, casomai la prima fosse sfuggita.
Perché gli
arancini non si preparano così al volo, dieci minuti di spignattare e via, no!
Ci vuole tempo. Minimo un’ora e mezza, senza la frittura. Ci vuole valiiia, direbbe la genitrice, strascicando
la i di valia che significa voglia.
Allusiva, appunto.
L’arancino fatto a casa è una coccola che ti vuoi fare per
davvero, perché costa tempo.
Tempo e fatica.
Tempo e fatica.
Già il riso, un buon quarto d’ora di cottura, stasera bianco
con broccoli saltati, acciughe e uvetta. Diversi da quelli che preparo di
solito. A me piacciono bianchi, quelli col ragù non mi convincono fino in
fondo. Non so se aggiungere un po’ di zafferano. Ancora non lo so. Ho il
tempo mentre il riso bolle, di pensarci.
Quando prepari gli arancini, di solito lo comunichi. Le
mie amiche lo sanno.
Sanno che sto preparando gli arancini.
Sanno che sto preparando gli arancini.
Io la situazione ce l’ho chiara su quasi tutti i punti di
vista…quindi faccio gli arancini, perché? Una domanda da Marzullo.
Perché l’arancino è un rito, l’impanatura ad esempio, mica è facile?
Devi usare tantissimo le mani, una cosa che come fare il pane, ti impegna in prima persona, una specie di corpo a corpo. Prima la farina, poi stringi, stringi, nell’uovo, bagni, bagni, e poi la mollica, tutta, dappertutto, a coprire tutti i buchi, che se no poi si apre in frittura.
La frittura. Pure quella, è un attimo, che anche dopo anni di attento e assiduo esercizio, scivoli su una frittura scorretta. Dopo anni ho capito, l’ho capito davvero.
Perché l’arancino è un rito, l’impanatura ad esempio, mica è facile?
Devi usare tantissimo le mani, una cosa che come fare il pane, ti impegna in prima persona, una specie di corpo a corpo. Prima la farina, poi stringi, stringi, nell’uovo, bagni, bagni, e poi la mollica, tutta, dappertutto, a coprire tutti i buchi, che se no poi si apre in frittura.
La frittura. Pure quella, è un attimo, che anche dopo anni di attento e assiduo esercizio, scivoli su una frittura scorretta. Dopo anni ho capito, l’ho capito davvero.
L’arancino e la sua
preparazione è una forma attenta di meditazione.
Di meditazione del sud.
C’è chi al nord fa yoga? Corrono, anche, per schiarirsi la
mente…anche in un ambiente puzzolente e correndo a vuoto, come i criceti sulla
ruota, davanti a un video.
Per me il movimento dovrebbe essere finalizzato a qualcosa di
pratico. Nuoto, a mare, raccolgo sassi, conchiglie e pesco. Passeggio nei
prati, faccio trekking? Torno a casa con mazzi di lavanda, frutta che ho
trovato per strada, corteccia e muschio per il presepe, pigne da colorare, basi
di tronchi per fare sedie.
Noi siciliani, dicevo, divago come al solito, facciamo yoga,
ma facciamo pure gli arancini, che poi dopo lo yoga se ti siedi a tavola e ci
sono gli arancini che hai fatto tu, c’è più soddisfazione.
Quindi tutto quel preparare ha a che fare con la meditazione,
la cucina è una forma di meditazione, come tutte le cose che fai d’istinto, col
cuore.
Quindi io stasera, scappo che faccio gli arancini!
“Quello che è, c’è!”
Sento la voce anche se non c’è… trovo molto romantico preparare gli arancini...
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