Cari Peter,
Lo dico da anni.
Ha rovinato più uomini la favola di Peter Pan
che il Viagra.
Strumentalizzata e mal interpretata è diventata il simbolo di almeno tre generazioni tra i
quaranta e i cinquanta, di maschi involuti.
Peter rappresenta i sogni, l’ingenuità, il candore e lo
stupore di una stagione della vita che si apprezza solo più avanti.
Ci esorta a coltivare quella parte di noi che spesso
dimentichiamo, a non tralasciare il gioco e l’attitudine a vedere il mondo con
gli occhi meravigliati di un bambino. A
fare “oh”, ad essere entusiasta, tipo “un
bicchiere di vino con un panino è la
felicità, felicità ”.
Poi ci sono loro, quelli che la favola l’hanno capita male e
stravolta.
Anagraficamente quarantenni, potenzialmente uomini,
emotivamente devastati.
Non vogliono soffrire, non si vogliono impegnare, leggeri,
divertenti, brillanti, fuggono evanescenti.
Fottutamente innamorati di Wendy ma incapaci di regalare amore
a qualcuno che non sia il proprio ego.
Cari Peter, Wendy a un certo punto dopo viaggi immaginari,
ricchi giochi, innamoramento e cotillon, molla Peter con un bacino e molto gentilmente
gli dice trallallero "trallalà , ti amo… ma vado."
Perché siamo donne. Ci rompiamo i coglioni.
A voi rimane Trilly che è a fare due conti spicci è sessualmente
incompatibile, dispettosetta e pure un ciccinino paranoica.
Poi se si chiama ” Sindrome” di Peter Pan, non è una
malattia ma poco ci manca, a me suona molto poco salutare.
Quindi cari Peter, soffrite! Struggetevi. Ammalatevi d’amore.
Guarite per carità.
Salvatevi.
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